Simone Baghin Consulente del Lavoro
La legge riconosce al datore di lavoro la possibilità di organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze produttive e organizzative dell’azienda, rispettando i limiti previsti dalla stessa normativa e dalla contrattazione collettiva di riferimento. Una volta definito l’orario di lavoro all’assunzione, può sorgere, successivamente, l’esigenza per il datore di modificare l’articolazione dell’orario. Il potere di modifica unilaterale dell’orario da parte di quest’ultimo è incondizionato? Quando è necessario il consenso del lavoratore? Quali sono i limiti stabiliti al riguardo? Quali le novità previste in materia dal Ddl di Bilancio 2026?
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- Chi: datori di lavoro del settore privato e lavoratori. - Cosa: il Ddl di Bilancio 2026 prevede, al fine di conciliare vita-lavoro, per la lavoratrice o il lavoratore, con almeno 3 figli conviventi, fino al compimento del 10° anno di età del figlio più piccolo o senza limiti di età nel caso di figli disabili, la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale o nella rimodulazione dell’orario di lavoro di almeno il 40%. - Quando: dal 1° gennaio 2026. |
Nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, la possibilità di stabilire il luogo di svolgimento e l’orario di lavoro rientra tra i poteri direttivi che la legge e la contrattazione collettiva riconoscono in capo al datore di lavoro.
Il D.Lgs. n. 152/1997, così come integrato dal D.Lgs. n. 104/2022, prevede che il datore di lavoro ha l’obbligo di comunicare al lavoratore, all’atto dell’instaurazione del rapporto e prima dell’inizio della prestazione lavorativa, tra le altre informazioni, anche “la programmazione dell'orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un'organizzazione dell'orario di lavoro in tutto o in gran parte prevedibile”.
È indubbio, però, che una volta definito l’orario di lavoro all’atto dell’assunzione, può sorgere l’esigenza in capo al datore di lavoro di modificare l’articolazione dell’orario di lavoro. Ma tale potere unilaterale è libero e incondizionato? Quali limiti di forma e modalità può trovare?
Il potere direttivo prevede l’assoggettamento del lavoratore alla direzione del datore di lavoro e dei suoi collaboratori, che, attraverso tale potere, specificano l’oggetto dell’obbligazione lavorativa, stabilendo modi e tempi di come questa debba essere adempiuta.
Il prestatore di lavoro - secondo l’art. 2104, c.c. - “deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”. Una volta definito l’orario di lavoro, la possibilità che questo possa essere oggetto di modifica da parte del datore di lavoro dipende dalla tipologia di orario (tempo pieno o part time) e dall’articolazione dell’orario concordata in sede di assunzione (orario aziendale o orario concordato).
Definizione dell’orario di lavoro
Nello svolgimento dell’attività lavorativa, la legge riconosce al datore di lavoro la possibilità di fissare l’orario di lavoro in modo tale da poter rispondere alle proprie esigenze di natura organizzativa e produttiva.
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La legge attribuisce al datore di lavoro la facoltà di organizzare l’orario in base alle proprie esigenze produttive e organizzative, purché tale collocazione avvenga nell’ambito dei limiti previsti dalla norma stessa, ovvero: - 40 ore settimanali o il minor orario di lavoro previsto dal CCNL; - 48 ore settimanali, comprese le ore di lavoro straordinario; - almeno 11 ore consecutive di riposo giornaliero; - almeno 24 ore settimanali di riposo, di regola coincidenti con la domenica, in aggiunta alle 11 ore di riposo compensativo. |
È inoltre da considerare che in genere la contrattazione collettiva si limita a definire la durata dell’orario di lavoro ordinario (40 ore settimanali), la durata della settimana lavorativa (5 giorni o 6 giorni), lasciando la fissazione e articolazione oraria al datore id lavoro.
Esempio: CCNL Metalmeccanica industria - Art. 5 Orario di lavoro
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La durata massima settimanale del lavoro ordinario rimane confermata in 40 ore. La ripartizione giornaliera dell’orario di lavoro settimanale contrattuale viene stabilita dalla Direzione anche in modo non uniforme, previo esame con la Rappresentanza sindacale unitaria, che si intenderà esaurito decorsi 10 giorni dalla data dell’incontro indicata nella convocazione. L’orario giornaliero di lavoro sarà esposto in apposita tabella, da affiggersi in luogo accessibile a tutti i lavoratori. |
L’orario di lavoro, una volta definito, deve essere reso pubblico mediante:
- affissione in bacheca;
- indicazione nel regolamento interno;
- indicazione nel contratto individuale di lavoro.
Diverse articolazioni possono essere concordate con il singolo lavoratore in base a specifiche esigenze tecnico, organizzative e produttive aziendali, nonché per conciliare le esigenze vita-lavoro del lavoratore.
Modifica unilaterale dell’orario di lavoro: quando è possibile?
Una volta definito l’orario di lavoro, il datore di lavoro ha la possibilità di modificare lo stesso, ma solo al verificarsi di nuove esigenze di carattere produttivo o organizzativo; in tal caso, la modifica potrà avvenire nelle fasce orarie e nei giorni di riferimento.
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L’eventuale prolungamento della settimana lavorativa, che passa da 5 giorni a 6 giorni lavorativi, necessita di un eventuale accordo collettivo.
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Quando serve il consenso del lavoratore?
Il consenso del lavoratore interessato dal cambiamento dell’orario è obbligatorio se la modifica riguarda:
- l’orario individuale concordato al di fuori dell’orario generale;
- il numero di ore lavorate settimanalmente;
- il passaggio da full-time a part-time (o viceversa);
- il cambiamento di fasce orarie rilevanti, che impattano sulla vita privata del lavoratore;
- l’introduzione di un regime di turnazione non previsto originariamente ovvero non disciplinato dal contratto collettivo.
Modifica dell’orario di lavoro nei contratti part-time
Maggiori limiti alla modifica dell’orario di lavoro li troviamo nel caso di contratto a tempo parziale.
L’accordo tra le Parti (art. 5, D.Lgs. n. 81/2015) deve, infatti, stabilire per iscritto la puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.
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L’eventuale modifica dello stesso, indipendentemente dalle motivazioni oggettive e produttive del datore di lavoro, richiede sempre il consenso del lavoratore; sul tema, la Cassazione (tra le altre, ordinanza n. 13495/2024) ha confermato che le modifiche richiedono il consenso scritto del lavoratore e non possono essere applicate unilateralmente dal datore di lavoro. È inoltre da considerare che la norma prevede che, su accordo delle parti risultante da atto scritto, è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in rapporto a tempo parziale e al fine di tutelare il lavoratore (art. 6, co 8, D.Lgs. 81/2015), si prevede che il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell'orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento. |
Unica possibilità di modifica unilaterale da parte del datore di lavoro, ma nei limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, si ha mediante le clausole elastiche: si tratta di clausole che consentono la modifica temporale della prestazione lavorativa ovvero la variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa.
Le clausole elastiche sono ammesse in tutti i tipi di part-time, ma le stesse:
- sono ammesse nel rispetto e alle condizioni previste dal CCNL;
- devono essere concordate per iscritto al momento dell’assunzione o in un momento successivo;
- danno diritto per il lavoratore a percepire una maggiorazione retributiva che, salvo diversa previsione del CCNL applicato, è del 15% omnicomprensiva.
Diritto e priorità alla modifica dell’orario di lavoro
Un’ultima questione riguarda l’eventuale diritto o priorità del lavoratore alla modifica dell’orario di lavoro.
Tale ipotesi riguarda essenzialmente il contratto part-time, per il quale il legislatore ha previsto il diritto alla trasformazione dell’orario di lavoro esercitabile da parte di lavoratori:
- affetti da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti;
- che, per una sola volta, chiedono in luogo del congedo parentale, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale entro i limiti del congedo ancora spettante, con una riduzione di orario non superiore al 50%.
Hanno, invece, una priorità alla trasformazione dell’orario di lavoro i lavoratori che hanno:
- coniuge, la parte di un'unione civile o il convivente di fatto, i figli o i genitori, con patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti;
- assistono una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa alla quale è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100%, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita;
- un figlio convivente di età non superiore a 13 anni o con figlio convivente portatore di handicap.
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Al di fuori delle ipotesi di diritto, il lavoratore ha la possibilità di richiedere la modifica, ma la stessa è subordinata al consenso del datore di lavoro.
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Novità del Ddl di Bilancio 2026
Si segnala da ultimo che lo schema di legge di Bilancio 2026 prevede, al fine di conciliare vita-lavoro, a decorrere dal 1° gennaio 2026, per la lavoratrice o il lavoratore, con almeno 3 figli conviventi, fino al compimento del 10° anno di età del figlio più piccolo o senza limiti di età nel caso di figli disabili, la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, orizzontale o verticale, o di rimodulazione della percentuale di lavoro in caso di contratto a tempo parziale, che determina una riduzione dell’orario di lavoro di almeno 40 punti percentuali.
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Come incentivo all’accoglimento di queste domande, si prevede a favore dei datori di lavoro privati che consentono ai lavoratori dipendenti tale trasformazione, la possibilità di fruire: - per un periodo massimo di 24 mesi dalla data di trasformazione del contratto; - dell’esonero dal versamento del 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL); - nel limite massimo di importo pari a 3.000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile. |

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