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Impresa familiare: quanto è fiscalmente conveniente

Roberto Fanelli - Docente di diritto tributario d’impresa presso UniMarconi Roma

 

L’impresa familiare è un particolare istituto civilistico e fiscale che consente di utilizzare la collaborazione del coniuge (o del convivente di fatto) dell’imprenditore, dei parenti entro il terzo grado e degli affini entro il secondo grado, senza necessità di costituire una società di persone o di capitali. Il reddito, entro il limite massimo del 49%, può essere attribuito ai familiari, con conseguente risparmio dell’IRPEF. L’impresa familiare, inoltre, è esclusa da IRAP. Quanto conviene?

 

Gli imprenditori individuali e i suoi familiari (coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo) che collaborano nello svolgimento dell’attività aziendale (art. 230-bis c.c.).

 

Sono parenti di primo grado i genitori, anche adottivi e i figli, nati in costanza di matrimonio o al di fuori, anche adottivi (escluso solo il caso di adozione di maggiorenne).

 

Sono parenti di secondo grado i nonni, i nipoti (figli di un figlio), i fratelli e le sorelle.

 

Sono parenti di terzo grado i bisnonni, gli zii e le zie, i nipoti figli di fratelli o sorelle, i bisnipoti.

 

Sono affini di primo grado il suocero e la suocera. Sono affini di secondo grado il nonno/nonna del coniuge e i cognati.

 

Per effetto della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), che ha introdotto l’art. 230-ter c.c., l’impresa familiare è configurabile anche in relazione al “convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente”.

 

Cosa

 

L’impresa familiare è una particolare forma di impresa individuale in cui i familiari dell’imprenditore collaborano nello svolgimento dell’attività aziendale.

 

La disciplina civilistica è contenuta nell’ art. 230-bis c.c., Il quale stabilisce che, salvo che sia configurabile un diverso rapporto (ad esempio, una società di persone), il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.

 

Agli effetti fiscali, l’art. 5 TUIR prevede i redditi delle imprese familiari, limitatamente al 49% dell'ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell'imprenditore, sono imputati a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell'impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

 

L’istituto è applicabile soltanto in caso di esercizio di attività produttive di redditi d'impresa, svolte in forma individuale, con esclusione, quindi delle attività diverse da quelle commerciali, ancorché nell’esercizio di esse il titolare si avvalga della collaborazione di familiari, come ad esempio le attività produttive di redditi di lavoro autonomo, per le quali l'imputazione rimane in ogni caso unitaria e personalizzata in capo all’esercente l'attività artistica o professionale.

 

Per effetto di quanto prevede l’art. 230-bis c.c. (“salvo che sia configurabile un diverso rapporto”) l'impresa familiare non rappresenta, in nessun caso, un'ipotesi di società di persone, rimanendo invece ferma la sua natura di impresa individuale. La collocazione della disciplina fiscale dell’impresa familiare nell’ambito dell’art. 5 TUIR, relativo ai redditi prodotti in forma associata, vale soltanto ai fini dell’applicazione del principio di trasparenza, in virtù del quale il reddito prodotto da un determinato soggetto è imputato a ciascuno degli aventi diritto indipendentemente dall'effettiva percezione del reddito e in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili.

 

Per la configurabilità di un’impresa familiare rilevante agli effetti delle imposte sui redditi è necessario il concorso delle seguenti condizioni:

 

a) collaborazione, non riferibile ad un rapporto diversamente qualificabile, da parte di familiari come sopra definiti;

 

b) prestazione di tale collaborazione con carattere di continuità;

 

c) determinazione delle quote di partecipazione agli utili dell'impresa.

 

I redditi conseguiti nell’esercizio di imprese familiari hanno una duplice qualificazione fiscale in relazione alle quote spettanti, rispettivamente, al titolare ed ai collaboratori familiari.

 

Per quanto riguarda il titolare, la quota ad esso spettante è qualificabile come reddito d'impresa.

 

Per quanto riguarda i collaboratori familiari, le relative quote costituiscono invece redditi da partecipazione.

 

I familiari dell’imprenditore partecipano esclusivamente agli utili dell'impresa familiare. Pertanto, nel caso si verifichi una perdita, questa può essere fiscalmente riconosciuta per l'intero nei confronti del titolare dell'impresa e riportata a compensazione dei redditi di altre categorie che concorrano a formare il reddito complessivo nello stesso periodo d’imposta o in quelli successivi, secondo le regole previste dall’art 8 TUIR.

 

A seguito della disciplina civilistica delle unioni civili e delle convivenze ( legge 20 maggio 2016, n. 76), l’istituto dell’impresa familiare è applicabile, anche fiscalmente, al “convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente” ( risoluzione 26 ottobre 2017, n. 134/E). In tali casi, quindi, al convivente di fatto spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato ( art. 230-ter, c.c.).

 

Alle imprese familiari si applica l’esclusione dall’IRAP prevista per le persone fisiche esercenti attività d’impresa ( art. 1, comma 8, della legge n. 234/2021; circolare 18 febbraio 2022, n. 4/E, par. 3).  

 

L’imprenditore individuale che esercita un’attività nella forma di impresa familiare (art. 230-bis c.c.), può adottare il regime forfettario. L’imposta sostitutiva del 15% è calcolata sul reddito, al lordo delle quote assegnate al coniuge, ed ai collaboratori familiari. Pertanto, i collaborati familiari sono esonerati dagli obblighi dichiarativi ai fini IRPEF, limitatamente ai redditi provenienti dall’impresa familiare.

 

Al contrario, il collaboratore familiare, qualora fosse in possesso di una partita IVA, non può accedere al regime forfetario per la sua attività, in quanto il regime forfetario è escluso in caso di partecipazione all’impresa familiare.

 

Come

 

La ripartizione del reddito tra i familiari partecipanti all’impresa familiare si applica a condizione che:

 

a) i familiari partecipanti all'impresa risultino nominativamente, con l'indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l'imprenditore, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo d'imposta, recante la sottoscrizione dell'imprenditore e dei familiari partecipanti;

 

b) la dichiarazione dei redditi dell'imprenditore rechi l'indicazione delle quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l'attestazione che le quote stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell'impresa, in modo continuativo e prevalente, nel periodo d'imposta;

 

c) ciascun familiare attesti, nella propria dichiarazione dei redditi, di aver prestato la sua attività di lavoro nell'impresa in modo continuativo e prevalente.

 

L’impresa familiare non rappresenta un soggetto passivo autonomo di imposta dato che, nel rapporto tributario, essa si immedesima con la persona fisica che ne è il titolare, il quale è l’unico soggetto ad avere la qualifica di imprenditore (risposta a interpello 18 marzo 2021, n. 195).

 

Pertanto, gli obblighi dichiarativi e contabili relativi all’impresa fanno capo al titolare dell’impresa stessa, ancorché il reddito che ne deriva concorra solo per una parte alla determinazione del suo reddito complessivo mentre, una parte (limitatamente al 49%), va imputato ai singoli collaboratori nella misura delle rispettive quote di spettanza.

 

A carico dei collaboratori familiari incombe soltanto l'obbligo della dichiarazione per le rispettive quote.

 

Qualora la gestione dell'impresa familiare si chiuda senza risultati positivi, o con perdita, l'obbligo della dichiarazione negativa incombe sul titolare, quale unico soggetto tenuto alla contabilità.

 

Quando

 

L’atto di ripartizione del reddito tra i familiari partecipanti all’impresa familiare deve essere stipulato e registrato anteriormente all'inizio del periodo d'imposta. L’atto deve essere assoggettato a registrazione in termine fisso, con il pagamento dell’imposta di registro in misura fissa (200 euro).

 

Nel caso in cui l'attività di impresa venga iniziata nel corso di un periodo d’imposta, l'atto di determinazione delle quote di partecipazione agli utili può produrre effetti fiscali dal periodo stesso a condizione che esso risulti posto in essere contestualmente all'inizio dell'attività e sia debitamente registrato ai fini dell’imposta di registro (circolare 19 dicembre 1976, n. 40/9/2146).

 

Qualora, a fronte dell'atto di determinazione delle quote di partecipazione agli utili stipulato prima dell'inizio del periodo di imposta si verifichino successivamente variazioni in diminuzione nel numero dei familiari partecipanti all’impresa, la quota di reddito relativa al soggetto uscito dall'impresa familiare deve essere a lui attribuita solo per il periodo della effettiva collaborazione prestata, e quindi commisurata al numero dei giorni compresi tra l’inizio dell’anno e la data in cui si è verificato l’evento. In tal caso, la differenza va attribuita agli altri partecipanti in misura apportata alle relative quote.

 

In caso di variazioni in aumento nella composizione dei collaboratori familiari, si rende in ogni caso indispensabile procedere alla redazione di un nuovo atto al quale può riconoscersi effetto immediato, a partire cioè dallo stesso anno in cui si è verificata la variazione, sempreché le quote già attribuite ai precedenti collaboratori familiari ancorché decurtate per quanto necessario in relazione alle quote attribuite ai nuovi collaboratori, rimangano fra loro nello stesso rapporto proporzionale di prima.

 

Calcola il risparmio

 

Il ricorso all’impresa familiare consente di utilizzare un istituto di carattere associativo senza necessità di costituire una società di persone o di capitali, distribuendo il reddito prodotto tra più soggetti, ottenendo quindi un risparmio d’imposta.

 

Il limite massimo di reddito distribuibile ai familiari o al convivente è pari al 49% di quello dichiarato dall’imprenditore.

 

Risparmio %

 

Caso n. 1

 

Il padre gestisce un’attività di ristorazione come impresa familiare insieme con il figlio.

 

I ricavi complessivi sono pari a 260.000 euro. Il reddito dell’impresa familiare è pari a 120.000 euro.

 

La ripartizione del reddito è pari a: 51% al padre e 49% al figlio.

 

- reddito del padre: 61.200 euro; IRPEF (al lordo di detrazioni e deduzioni): 19.216 euro

 

- reddito del figlio: 58.800 euro; IRPEF (al lordo di detrazioni e deduzioni): 18.184 euro

 

Totale IRPEF: 37.400 euro

 

In mancanza di impresa familiare, tenuto conto che l’ art. 60, comma 1,

 

TUIR stabilisce che, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, non sono ammesse in deduzione a titolo di compenso del lavoro prestato o dell'opera svolta dall'imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro e dagli ascendenti, nonché dai familiari partecipanti all'impresa familiare, si avrebbe:

 

- reddito del padre: 120.000 euro; IRPEF (al lordo di detrazioni e deduzioni): 44.500 euro

 

Caso n. 2

 

Un contribuente esercita un’impresa individuale, gestita sottoforma di impresa familiare, insieme al coniuge e ai 2 figli.

 

I ricavi complessivi sono pari a 260.000 euro. Il reddito dell’impresa familiare è pari a 120.000 euro.

 

La ripartizione del reddito è pari a: 51% al padre, 29% al coniuge, 10% a ciascuno dei figli.

 

- reddito del padre: 61.200 euro; IRPEF (al lordo di detrazioni e deduzioni): 19.216 euro

 

- reddito del coniuge: 34.800 euro; IRPEF (al lordo di detrazioni e deduzioni): 9.080 euro

 

- reddito del 1^ figlio: 12.000 euro; IRPEF (al lordo di detrazioni e deduzioni): 2.760 euro

 

- reddito del 2^ figlio: 12.000 euro; IRPEF (al lordo di detrazioni e deduzioni): 2.760 euro

 

Totale IRPEF: 33.816 euro

 

In mancanza di impresa familiare, tenuto conto che l’ art. 60, comma 1, TUIR stabilisce che, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, non sono ammesse in deduzione a titolo di compenso del lavoro prestato o dell'opera svolta dall'imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro e dagli ascendenti, nonché dai familiari partecipanti all'impresa familiare, si avrebbe:

 

- reddito del padre: 120.000 euro; IRPEF (al lordo di detrazioni e deduzioni): 44.500 euro

 


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